30.03.2012 | tec21 | Sonja Lüthi

«Più importanza alla politica»

Stefan Cadosch, nuovo Presidente della SIA dall’11 novembre 2011, spiega in questa intervista come mai la SIA debba dedicarsi maggiormente alla pratica e alla politica, evitando qualsiasi forma di culto della personalità.

Sonja Lüthi: Signor Cadosch, Lei stesso ha affermato di apprezzare particolarmente la struttura gerarchica piatta vigente presso la società Eternit (Svizzera) SA, per la quale ha lavorato diversi anni. Come potrebbe definire allora il suo stile di conduzione?
Stefan Cadosch: Per me la conduzione aziendale è sinonimo di coaching; si tratta insomma di impiegare le giuste competenze al posto giusto. Il mio compito è dunque quello di riconoscere le capacità di ciascun collaboratore, di promuoverle e di porle a servizio dell’organizzazione.

In veste di Presidente della SIA, Lei diventa ora un personaggio della vita pubblica. Però, per quanto abbia avuto modo di conoscerla, mi è sembrato che Lei sia piuttosto una persona riservata.
Sì, direi che ha ragione.

… ma allora come mai ha deciso di rivestire questa carica?
(ride) Sono ormai vent’anni tondi che sono membro SIA. In questi anni, ogni tanto vi sono state cose che, a mio avviso, si sarebbero potute fare diversamente o chissà forse anche meglio. Quando si è presentata l’occasione, non ho avuto dubbi e ho accettato subito questa grande ed entusiasmante sfida, così da potere contribuire attivamente a cambiare le cose e non limitarmi a guardare e criticare quel che non va.

Dove coglie un potenziale di miglioramento all’interno della SIA?
Ho il vantaggio di sedere in una «macchina» ben funzionante. Non vi sono infatti presupposti che lascino presagire cambiamenti radicali. Ci sono tuttavia alcuni aspetti in cui si dovrebbe utilizzare il margine di manovra dell’attuale sviluppo organizzativo per semplificare e ottimizzare metodologie e strutture. Un ambito in cui si richiede un pronto intervento è per esempio la procedura d’ammissione alla SIA. È infatti inaccettabile che, se si inoltra domanda d’ammissione, andando incontro a oneri e spese, si debba poi attendere a lungo prima di ricevere risposta.

Maggior orientamento pratico
«Ci attendiamo prestazioni di prim’ordine dai nostri membri», queste le parole pronunciate dal Segretario generale Hans-Georg Bächtold a inizio anno e riportate nella rivista «Hochparterre». Un'argomentazione che nessuno certo vuole confutare. La domanda tuttavia è se un’associazione professionale che rappresenta gli interessi della prassi debba mettersi nelle condizioni di ostacolare l’ammissione dei diplomati di una scuola universitaria professionale, avvantaggiando invece chi esce dall’università.
Il fatto è che la SIA ha messo a punto diversi modelli possibili, ma nessuno si è rivelato davvero esaustivo e in grado di soddisfare le esigenze. Personalmente mi convinceva di più il sistema che c'era prima, con una commissione d'ammissione composta di quattro o cinque esperti, incaricata di prendere in esame i singoli dossier. Con questa procedura tuttavia non era semplice gestire il gran numero di richieste che perveniva ogni mese (fino a settanta dossier!). L’ammissione sulla base del master universitario è certamente una prassi discutibile. Il diploma del Politecnico federale è e resta tuttavia la prova che il candidato si sia dedicato in modo approfondito alle discipline della propria categoria professionale. Nel contempo è vero anche che attualmente diversi professionisti capaci e preparati, maggiormente orientati alla prassi, restano a lungo in attesa di una risposta. Vogliamo e dobbiamo riscrivere a caratteri più marcati la parola «prassi» sul nostro stendardo, e per farlo occorre percorrere nuove vie.
Riguardo a questa critica non dovremmo però dimenticare che anche la strada del REG ha assolutamente una sua legittimità e vantaggi propri. REG e SIA infatti non sono la stessa cosa, il REG per esempio conferisce agli esperti l’autorizzazione di esercitare la professione anche all'estero. Il problema al momento è che questa via si percorre a passo strascicato.

La croce della pianificazione territoriale
Parliamo ora dei cinque temi strategici cruciali della SIA, vale a dire pianificazione territoriale, energia, formazione, aggiudicazione e cultura della costruzione. Quali di queste tematiche le danno maggiori preoccupazioni al momento?
In Svizzera la grande spina nel cuore è sicuramente la pianificazione del territorio. Lo sviluppo disordinato del paesaggio è un dato di fatto e la legge sulla pianificazione del territorio non è finora riuscita, se non per qualche successo puntuale e isolato, a porre un freno al fenomeno. La revisione della legge, assolutamente necessaria, è finalmente passata attraverso le due camere del Parlamento, ma ora dovrà sapersi affermare anche nella prassi. L’accettazione dell’iniziativa popolare «Basta con la costruzione sfrenata di abitazioni secondarie!» ha reso palesemente manifesto l’aumentato disappunto nutrito dalla popolazione nei confronti degli attuali sviluppi. Bisogna tuttavia chiedersi se l'iniziativa sia strutturata in modo mirato. Dobbiamo chiarire fondamentalmente due cose, ovvero definire chi si assumerà la responsabilità per la pianificazione territoriale e come sarà possibile adottare misure efficaci. Oggi la pianificazione territoriale è di competenza comunale e cantonale, e quanto più si va nel piccolo, tanto più nel piccolo si pensa. È forse sensato che ogni paese abbia una sua propria zona industriale? Questa è la croce dell’attuale pianificazione del territorio. Ognuno può fare ciò che vuole. Solo ora sta nascendo la volontà di pensare in modo interdisciplinare e capillare.

Secondo Lei allora chi dovrebbe assumersi la responsabilità per la pianificazione territoriale e come potrebbe la SIA fornire attivamente un contributo in tale ambito?
La pianificazione del territorio è da un lato fortemente influenzata dalla sfera politica e legata a diversi interessi; dall’altro la SIA si avvale di specialisti che sono in grado di risolvere i problemi imminenti. Il compito della SIA deve essere quello di stimolare le interfacce, la Società deve impegnarsi, diventare un punto di riferimento importante per tutte le questioni concernenti la pianificazione del territorio e porre nuovi basi, a braccetto con la politica. Non serve a nulla infatti avere a disposizione validi specialisti, provvisti di un solido know how, se poi gli strumenti per mettere in pratica tali conoscenze sono in altre mani.

Mettere a fuoco il profilo politico
In occasione di un colloquio intrattenuto in precedenza, Lei ha puntualizzato di «appartenere a una generazione di mezzo non troppo abituata a ribellarsi». Oggi che ruolo gioca la politica per Lei personalmente e in veste di Presidente SIA?
Andiamo incontro a un'epoca contraddistinta da un'importanza politica sempre maggiore. Saremo chiamati ad affrontare grandi sfide, dinnanzi alle quali dovremo prendere posizione anche politicamente parlando. Oltre alla pianificazione del territorio, vi è anche la svolta energetica al centro dei dibattiti. Come realizzare tale svolta, non solo attraverso strumenti tecnici ma anche politici, in modo da garantire un approvvigionamento energetico sostenibile? Si tratta di argomenti che necessitano un lavoro di base politico, un tema sul quale per lungo tempo non ci si è focalizzati. La SIA deve ora mettere a fuoco il proprio profilo politico.

Nel contempo tuttavia la SIA, quale associazione politicamente neutrale, non deve però neanche esagerare nel prendere posizione in merito. Che cosa bisogna fare allora concretamente per mettere a fuoco il profilo politico?
Di certo l’attività politica è per un’associazione professionale una sorta di gincana, un gioco di sottili equilibri. Fino a dove si può arrivare con l’attività di lobbying che, anch’essa, rappresenta sempre e comunque interessi specifici? Vi sono nel contempo anche temi politici che incarnano propositi sociali generali di un determinato stampo politico. Penso per esempio alla promozione della cultura architettonica contemporanea. Qui è chiaro, e anche necessario, che la SIA prenda posizione.

Diffondere la cultura della costruzione
Dedichiamoci ora alla cultura della costruzione, e in particolare alle novità proposte dai cinque temi strategici cruciali della SIA. Qual è la posizione della SIA al riguardo?
Qualche tempo fa, la SIA ha preso atto del fatto che nel Messaggio sulla cultura elaborato dalla Confederazione non vi fosse riferimento alcuno alla cultura contemporanea della costruzione. Il che fa naturalmente riflettere, tanto più se si pensa che il messaggio menziona invece la salvaguardia del patrimonio nazionale e i monumenti storici. Che sia necessario tutelare il patrimonio culturale e architettonico è noto e riconosciuto a livello politico; comprendere la cultura della costruzione guardando all'indietro va bene, ma bisogna anche ampliare la cultura architettonica contemporanea.

Uno strumento efficace per definire e diffondere la cultura contemporanea della costruzione è avvalersi di riconoscimenti come «Sguardi», eventi in occasione dei quali esperti con diversi background hanno modo di discutere sul plusvalore dei progetti. Questi incontri non favoriscono soltanto le discussioni tra «meri» architetti, ma permettono di diffondere la rilevanza sociale di un'opera e il suo valore culturale. La SIA dovrebbe però porsi una domanda di fondo, ovvero chiedersi se «Sguardi» sia collocato al posto giusto. Non sarebbe forse meglio se il riconoscimento fosse gestito da un’istituzione federale che abbia, come menzionato, un focus sull'intera società?

Comunicare il valore del lavoro di pianificazione
A differenza di altri temi ancorati nel Messaggio sulla cultura, come il cinema o la letteratura, quello dell’edilizia rappresenta un importante ramo economico. Eppure appare evidente che i mezzi finanziari non fluiscano nelle quantità sperate nelle tasche dei progettisti. Che cosa va storto?
Domanda interessante. In linea di principio, la progettazione è una prestazione e come tutte le prestazioni ha un valore. L’entità di tale valore è influenzata prevalentemente dalla società. Penso che noi progettisti abbiamo un po’ trascurato un aspetto importante, ovvero quello di comunicare il valore del nostro lavoro. Il problema è che tanto gli architetti quanto gli ingegneri non pongono il denaro sufficientemente al vertice delle proprie priorità. Ci focalizziamo rapidamente e intensamente sul compito da svolgere. Spesso, prima di riuscire a pensare ai contratti e agli onorari, siamo già nel pieno della progettazione e il nostro atteggiamento è sulla difensiva. In parte siamo noi stessi insomma a rovinare i prezzi.

Facciamo un esempio. Ogni anno la KBOB pubblica il valore delle prestazioni di pianificazione. Da anni ormai tali valori restano immutati. Se la SIA interviene, chiedendo un adeguamento, la KBOB fa riferimento alle offerte che riceve giornalmente dai nostri membri e che, di regola, attestano onorari ancora più bassi.

In questo caso, chi dovrebbe intervenire attivamente se non l’associazione professionale?
Forse non si tratta dell’esempio più adeguato, ma va ribadito che in caso di dumping l’ordine degli avvocati fa pressione avanzando l’eventualità di un’espulsione dall’ordine. Questo modello per noi sarebbe troppo radicale e irrealizzabile. Dobbiamo tuttavia essere consapevoli di quali siano le conseguenze se accettiamo di lavorare con una tariffa oraria di 80 franchi quando i nostri partner, nel settore della costruzione, si fanno in parte pagare molto di più. Viene così a regnare una sproporzione che a lungo andare nuoce alla nostra immagine professionale sul breve o lungo periodo. Tale situazione si osserva bene per esempio nel settore dell’ingegneria civile, dove oggi evidentemente il mercato non ha più un suo ruolo, ma vi è un esubero dell’offerta. Ciononostante gli ingegneri civili guadagnano relativamente poco.

In conclusione, qual è la cosa per cui vuole entrare nella storia in veste di Presidente SIA?
Non voglio entrare nella storia come Presidente, voglio che la SIA entri nella storia. Secondo me, qualsiasi forma di culto della personalità qui è fuori luogo. Una realtà come la SIA vive infatti di oltre 2000 personalità che forgiano attivamente, con il proprio intervento, l'aspetto della Società. Il nostro obiettivo deve essere quello di sviluppare insieme l’opera SIA, tanto da farne il faro e il baluardo per eccellenza nel paesaggio svizzero della pianificazione e della costruzione.


profilio

Stefan Cadosch, nasce ad Alvaschein (GR) nel 1964, si laurea come architetto nel 1990 presso l’ETH di Zurigo. Nel 1995 conclude una formazione postdiploma in economia aziendale presso la HTW di Coira. Nel 1999 fonda a Zurigo, in società con Jürg Zimmermann, lo studio di architettura «Cadosch & Zimmermann», dove lavorano attualmente dodici collaboratori. Accanto all'attività di architetto, Stefan Cadosch lavora dal 1993 al 2011 come responsabile per gli sviluppi architettonici della società Eternit (Svizzera) SA. Dall’11 novembre 2011, Stefan Cadosch è il nuovo Presidente della SIA. Il neo Presidente è noto per le sue qualità di mediatore, per la sua ampia rete di contatti e per la sua personalità schietta.